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I LONGOBARDI
Il popolo che riuscì a stabilirsi più a lungo nell'Italia settentrionale fu quello dei Longobardi. La loro capitale era Pavia; il loro stato fu chiamato chiamata Longobardia. Questo popolo di origine germanica occupò in sede stabile anche il territorio di Alice; infatti nella zona fu ritrovata la tomba di un ufficiale longobardo. La pietra sepolcrale, le armi in essa contenute sono depositate presso il museo di antichità di Torino.L'occupazione da parte del Longobardi, che erano condotti dal re Alboino, avvenne nel 568 e lasciò nel nostro paese la sua impronta. Abbiamo prove che Alice aveva leggi e istituzioni Longobardiche. Infatti, in un documento antico si legge che un certo Nicolao d'Ugliono (cognome tramutatosi poi in Ugliono ed ancora oggi molto diffuso) vendette dei beni situati nel territorio, scrivendo testualmente "Qui professus sum ex natione mea vivere legge longobardorum".
I FRANCHI
Dopo la metà del 700 l Longobardi vinti devono cedere ai Franchi, guidati prima da Pipino e poi da Carlo Magno, fondatore del Sacro Romano Impero (800). L'imperatore di ritorno da Roma, transitò da Alice nel Giugno dell'801, avendo dovuto recarsi da Vercelli a Ivrea.A quel tempo pare che sorgesse già, sul poggio centrale del paese, un antico castello a due torri. Era l'abitazione del signore del luogo e della sua famiglia. Accanto sorgeva la chiesa. Tutt'intorno si raggruppavano le case degli artigiani e dei contadini. Esistevano due fossati: il primo , più breve, circondava il nucleo del paese (castello e chiesa); il secondo racchiudeva completamente il borgo che era protetto pure da robuste mura. Le quattro porte di accesso erano fornite di ponti levatoi..; erano poste a Tribiolo, all'Avate, in Giurales e a Prelle. Esse sono rimaste efficienti per molti secoli finchè tra il XVIII e il XIX secolo furono abbattute.Quella di Giurales fu abbattuta nel 1733, come risulta da un documento ritrovato nell'Archivio comunale; esisteva ancora nella stessa epoca quella dell'Avate.Gli abitanti ricevevano protezione dal loro signore in caso di invasioni e scorrerie nemiche, ma dovevano a lui obbedienza assoluta. La terra apparteneva interamente al signore che in parte le faceva coltivare direttamente dai servi della gleba, i quali erano di sua proprietà alla stregua di cose, in parte le affidava alle cure dei coloni, che le gestivano con una certa libertà pagando al proprietario un censo di denaro e prestandogli diversi servigi come quello di compiere un determinato numero di ore lavorative nella parte padronale.Anche gli artigiani non erano uomini liberi, poichè liberi erano solo gli appartenenti alla nobiltà; essi dovevvano al signore, in cambio della protezione, un gran numero di servigi, inoltre non potevano esercitare un libero commercio dei loro prodotti che perciò rimanevano in uso e consumo nell'ambito del borgo.Le abitazioni dei coloni e artigiani erano più che altro capanne costruite con pietre e fango, ad un solo piano, col tetto di paglia e il pavimento di terra battuta. Scarse e piccole erano le aperture che venivano chiuse alla meglio con assi tagliati e inchiodate rozzamente. Ciò, oltre che non consentire nella stagione fredda il raggiungimento del tepore necessario, costituiva un grosso pericolo nelle giornate ventose, tanto che era sconsigliato tenere il fuoco acceso perchè questo, alimentato dall'aria, facilmente si appiccava alle parti combustibili.
ABBAZZIA DI LUCEDIO
Di quest'epoca, nei documenti storici poco si trova che riguarda il nostro paese. Dagli scarsi dati raccolti a diverse fonti si sa che Alice apparteneva all'Abbazia benedettina di San Michele Lucedio, a otto Km. da Trino. Ariberto II, duca di Torino e poi re dei Longobardi, con diploma dell'anno 707 riconosceva l'Abbazia e la poneva alle dipendenze del vescovo di Vercelli. Tale Abbazia possedeva molte terre fra cui menzionate Alice, Settimo ed Erbario. I signori del luogo erano quindi gli abati di Lucedio.
CONTE AIMONE
Verso gli anni 961-963 il vescovo di Vercelli, Ingone, dispose la vendita di alcuni territori già appartenenti a vari monasteri, compresa l'abbazia di Lucedio, fra cui Alice, Cavaglià e Santhià.Chi acquistò le terre fu il conte di Vercelli, Aimone. Troviamo conferma di ciò in un documento del 29 Gennaio 963, in cui Ottone I, re d'Italia e di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero, dice:"... con la nostra autorità imperiale confermiamo e condoniamo al nostro diletto e fedele conte Aimone, tutte le case e famiglie d'ambo i sessi che gli appartengono di diritto, cioè le corti di Alice, Cavaglià, ecc...esistenti nel contermine del comitato di Vercelli".Nel Novembre dell'anno 1000, Ottone III donò alla Chiesa Vercellese, cioè al vescovo, vasti territori "annullando le vendite e permute fatte dal vescovo Ignone, che con adultera vendita stornò dalla chiesa Santhià coi servi e con ancelle;....disperde il monastero di Lucedio perchè gli tolse Alice con vendita".Pare che i provvedimenti di Ottone III non avessero avuto alcun effetto, infatti dai documenti risulta che anche in seguito Alice e Cavaglià continuarono ad appartenere ai discendenti di Aimone, che per motivo prendevano ora il titolo di conti di Alice.
LE LOTTE FEUDALI
Giova qui ricordare in breve le vicissitudini dell'Europa e dell'Italia dopo lo sfacelo dell' Impero Carolingio (888). Si formarono da prima tre regni: di Germania, di Francia e d'Italia. Re d'Italia fu proclamato il duca del Friuli, Berengario; ma poi naquero discordie interminabili tra i vari feudatari che si contendevano il trono, cosicchè nel 962 l'Italia finì col perdere l'indipendenza e cadde sotto il dominio dell'Imperatore di Germania, Ottone I. Questo, su invito di alcuni feudatari italiani, valicò le Alpi e si fece incoronare re d'Italia a Pavia e imperatore del Sacro Romano Impero a Roma. Da quel momento e per molti secoli l'Italia visse sotto il giogo tedesco. L'assetto politico ed economico era quello feudale. Tra i feudatari erano frequentissime le discordie, perchè ciascuno cercava di accrescere la propria potenza. Inoltre tutti mal sopportavano la dipendenza dall'imperatore.La disgregazione lenta e continua dell'impero favorì il sorgere, nell'Italia settentrionale e centrale, di grandi organismi feudali. In Piemonte si formò la Marca d'Ivrea comprendente un vasto territorio da cui si staccarono il marchesato di Torino e quello del Monferrato.Sul finire del secolo X per le contese tra il marchese d'Ivrea, Arduino, che fu in seguito re d'Italia, e il vescovo di Vercelli, Pietro, i luoghi circostanti Alice furono campo di aspre battaglie. L'uccisione del vescovo da parte di Arduino provocò lo sdegno di Ottone III che si scagliò contro il responsabile e coloro che avevano parteggiato per lui. Ottone confermò alla chiesa, cioè al vescovo di Vercelli, i luoghi di Azeglio, Meolo, Erbario, compresi nella curia di Alice.Sul finire del secolo XII il contado di Cavaglià abbracciava l'intero dominio di Cavaglià, di Roppolo e di Alice. In questi domini si ergevano i castelli di Cavaglià, Alice e Roppolo.Nel 1173 la parte della concessione spettante a Manfredo a Aimone dei conti di Alice e Cavaglià venne ceduta agli Avogadro di Vercelli.Nel 1201 Uberto Avogadro , detto "Alamanno", vendette la sua parte ai potenti vercellesi Pietro e Giacomo Bondoni (Boni Domini).
IL CARDINALE GUALA BICCHIERI E L'ABBAZIA DI S. ANDREA
In seguito anche Tebaldo Lomello, conte di Cavaglià, e i suoi nipoti vendettero la loro parte; acquirente fu l'abbazia di S. Andrea di Vercelli, che ne impose il "fodro" (pagamento di tributi) nell'anno 1238.L'abbazia era stata fondata dal Cardinale Guala Bicchieri nell'anno 1219 e dallo stesso fondatore dotata di feudi e redditi, tra i quali quelli derivati dall'abbazia di Chesterton, in Inghilterra, che era stata donata al cardinale vercellese, ambasciatore presso quelo paese, dal re Enrico III. Cardinale Bichhieri volle pensare anche ai poveri e agli ammalati, perciò istituì un'elimosineria e un ospedale che superò ben presto in grandezza e importanza tutti quelli già esistenti e che assunse perciò l'attributo di "maggiore". l'ospedale era una dipendenza dell'abbazia, ma aveva un'amministrazione propria ed era retto da un ministero eletto dall'abate.Prima della sua morte, avvenuta nel 1227, il cardinale nominò suo erede l'abate di sant'Andrea, lasciando dei legati a favore dell'ospedale. Con questi denari furono acquistate le terre di Alice poco dopo la scomparsa del Bicchieri.Alice divenne sede di curia: un rettore, nominato dall'abate, era incaricato sia della cura delle anime sia della vigilanza sui coloni e sui beni di proprietà dell'abbazia.A proposito dell'elezione del rettore, nacquero dei contrasti tra i due più potenti consignori di Alice, cioè l'abbazia e i De Bondonis (o Bondoni), i quali cercarono più volte di arrogarsi il diritto di nominare un sacerdote di loro fiducia. Dovette intervenire l'arcidiacono vicario capitolare di Ivrea, che fulminò con la scomunica i De Bondonis (1279).Gli abitanti di Alice, in conseguenza dello stretto legame che li univa all'ospedale di Sant'Andrea, godettero per molto tempo di uno speciale beneficio: agli incurabili del paese erano riservati gratuitamente cinque letti.Il susseguirsi e concessioni riguardanti interi paese lasciano perplessi e incerti noi che viviamo in un'epoca tanto diversa: effettivamente gli scambi di intere regioni avvenivano tra nobili e potenti ecclesiastici e non si trattava soltanto di terreni e case, ma venivano comprese anche le popolazioni.A chi dovevano ubbidienza gli Alicesi di allora ? L'autorità più alta, ma anche più lontana, rimaneva l'imperatore che risiedeva in Germania e faceva sporadiche visiste in Italia. Facevano le sue veci i grandi feudatari, marchesi e conti. In alcune città, come a Vercelli, il Vescovo stesso aveva il titolo e il potere di conte; egli, poi, che era vassallo del imperatore, concedeva a sua volta, ad altri, luoghi e beni in vassallaggio. Ecco perchè Alice si trovava contemporaneamente a dover rendere omaggio e obbedienza ai signori locali, al vescovo e all'imperatore.All'epoca dell'acquisto da parte dell'abbazia si S. Andrea di terre poste nel nostro territorio, Alice aveva più d'un signore locale che vi possedeva terre e case; certamente due: i nobili Bondoni o De Bondonis e l'abate di S. Andrea
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